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Universiade 2019: il bello deve ancora venire
di Adriano Cisternino
Cantavano “Oj vita, oj vita mia...”, l'inno ormai consacrato delle passioni sportive, e la pallanuoto è un'antica passione sportiva di Napoli, quella che ha portato qui il primo scudetto a squadre, con la Rari Nantes, nel lontano 1939.

Cantavano “Oj vita, oj vita mia...” i tifosi di una restaurata e stracolma (come ai bei tempi!) piscina Scandone che ha regalato all'Italia l'ultimo oro delle Universiadi napoletane, a poche ore dalla cerimonia di chiusura del San Paolo: 18-7, schiacciante vittoria sugli Usa, finalisti un po' a sorpresa, che sono rimasti in partita sì e no due tempi prima di cedere fisicamente e psicologicamente agli azzurri di Alberto Angelini tra i quali c'era naturalmente una buona rappresentanza indigena, a cominciare da Massimo Di Martire, figlio d'arte, e poi il capitano Umberto Esposito, altro posillipino, e Mario Del Basso, e l'irresistibile mancino Eduardo Campopiano, scuola Canottieri, che Pino Porzio, il cittì del Canada, ha già consegnato idealmente alla nazionale di Sandro Campagna.

Cantavano “Oj vita, oj vita mia...” per sigillare il quindicesimo oro, il quarantaquattresimo podio dei nostri atleti universitari ed il sesto posto assoluto nel medagliere, alle immediate spalle dei giganti dello sport mondiale: Giappone in cima con 82 podi, alla pari della Russia ma con 33 ori contro 22. Un exploit incredibile quello nipponico che ha trionfato persino nel calcio, battendo (udite, udite!) il Brasile in finale, e nella mezza maratona dove ha raccolto addirittura sei medaglie su sei, tre dalla gara maschile e tre dalla femminile.

Terza la Cina, (22 ori come la Russia, ma 43 podi complessivi contro 82), davanti a Usa e Corea del Sud. Sono 15 ori, 13 argenti e 16 bronzi per l'Italia, risultato senza precedenti. Ma soprattutto tanto entusiasmo e tanta gioia di vivere e di vincere dappertutto, come con l'oro del volley maschile a Eboli, l'argento di Alessia Russo nella ginnastica artistica (al nastro) al Palavesuvio, il bronzo del calcio all'Arechi, le tredici medaglie della scherma (cinque d'oro, fra cui la sciabola femminile a squadre con la napoletana Rebecca Gargano) a Baronissi, i due ori dell'atletica al San Paolo, l'argento con lacrime finali del Setterosa, e via “salpodiando”, per una manifestazione che ha coinvolto direttamente l'intera città - ma anche la Campania - trasmettendole una carica di vitalità e di positività che - speriamo - diventi un patrimonio, una eredità destinata a dare frutti nel breve, medio e lungo termine, come i Giochi del Mediterraneo dell'ormai lontano 1963.

Il patrimonio consiste innanzitutto nelle decine di impianti ristrutturati e rammodernati per l'occasione, a cominciare dallo stadio San Paolo, dalla piscina Scandone, il Palavesuvio, lo stadio del rugby a Bagnoli e tanti altri ancora, impianti ora in grado di ospitare grandi manifestazioni internazionali. La palla ora passa soprattutto al Comune cui tocca impedirne il degrado con un opportuno piano di manutenzione.

Ma l'eredità più grande, anche se meno quantificabile materialmente, è il salto di cultura sportiva che Napoli e la Campania dovranno trarne a beneficio dei giovani e giovanissimi napoletani e campani e delle generazioni in arrivo.

È un salto di cultura sportiva e sociale che tutte le amministrazioni civiche dovrebbero essere pronte a cogliere e promuovere. È il grande patrimonio che l'Universiade lascia a chi sa coglierlo e sfruttarlo.

Il bello per tutti noi deve ancora venire”, parole del commissario Basile nella cerimonia di chiusura. Amen!
15/7/2019
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